giovedì 23 dicembre 2010

Mirafiori come Pomigliano?

A distanza di qualche mese, si profila un altro referendum tra gli operai: questa volta tocca alla Fiat di Mirafiori nella mia città. Dal sud al nord, a ridosso dei festeggiamentei per i 150 anni l'Italia è unita dalla responsabilità che cade sulle spalle dei lavoratori chiamati a decidere su un accordo che va ben oltre le mura della propria fabbrica.

A questo link le prime anticipazioni sulle condizioni dell'accordo. Ad una prima lettura ritrovo tutti i punti di Pomigliano: pause ridotte e turni aumentati, mensa a fine turno, aumento dello straordinario obbligatorio.
A breve cercherò di Il testo completo dell'accordo

Nei dibattiti in tv si pone sempre la diatriba tra diritti e condizioni di lavoro contro lo sviluppo delle aziende. E' solo sulle spalle dei lavoratori la responsabilità di accettare o no un modello che può rivoluzionare il mondo del lavoro. E i politici? Perchè non convocare il management e cercare di valutare soluzioni alternative? Perche, senza vedere uno straccio di piano aziendale, tutti commentano che il futuro di Torino deve per forza passare da qui?

Chissà quanti manager stanno guardando alla Fiat e, nel silenzio delle istituzioni, attendono di attuare modelli simili nelle proprie aziende. Non sarà di certo un cambiamento a livello esclusivamente locale.

lunedì 8 novembre 2010

Un giro a...


Non impazzisco per l'arte contemporanea ma mi affascina vedere quanto siano contorte le menti degli artisti. Questo è il motivo per cui ogni anno a novembre vado ad Artissima (il fatto che abbia la Tessera Musei e che quindi il biglietto costi zero invece che quindici euro, beh... lo ammetto mi dà una spintarella!).

L'edizione di quest'anno è ospitata per la prima volta all'Oval Lingotto. Ci siamo stati ieri, perdendoci ahimè per motivi di traffico e parcheggio la visita guidata gratuita "Ascolta chi scrive" che avevo prenotato via mail.

Una delle opere che ha catturato la mia attenzione è stato un collage realizzato sulla base di un dipinto di Bruegel, in cui le molteplici piccole figure erano in realtà sostituite da ritagli di giornale: donnine discinte, grassi uomini cane, scenette estreme, il tutto tratto da riviste "di oggi". Cercando sul web il dipinto dovrebbe essere "La lotta tra Carnival e Lent" (1559). Una originale rivisitazione, come a dire: dal 1500 ad oggi poco è cambiato...

Poco più avanti un pannello di piccole fotografie quadrate. Sono tutti pezzi di corpo, dettagli minuscoli di rughe, pelle, unghie, mani, gambe, genitali. Dettagli così piccoli che fanno sembrare il nostro corpo un elemento ignoto e talvolta quasi rivoltante.

Passiamo davanti ad una tavola enorme di strati di compensato, cosparsa di intagli curvi, più o meno profondi, che formano come dei laghetti e dei percorsi fluviali nel legno chiaro. Il colore turchese degli strati dà l'idea della profondità e l'effetto è molto gradevole, tanto da far esclamare al mio compagno "Ho trovato una cosa che mi piace!".

Altre foto, stavolta di una donna, o almeno una parte di donna: un pezzo di body rosso lucido visto da dietro da cui in diverse pose fanno capolino carnose parti intime. Non c'è bisogno di leggere la didascalia per capire che l'artista ha partecipato ad un set pornografico. La descrizione conferma che si tratta di una rivista del settore, risalente agli anni '80...

A Venezia un'artista palestinese ha ideato il progetto di scrivere in arabo i nomi delle fermate del vaporetto per rendere bilingue il percorso lungo i canali della città, ad evidenziare l'influenza araba nella storia e nell'architettura di Venezia. Realizzati i modelli e ottenuti tutti i permessi necessari dal Comune, poco prima della realizzazione il progetto è stato bloccato. Chissà quali giustificazioni saranno state fornite, chissà, forse "motivi politici"... Ne sono rimaste solo le fotografie, esposte in mostra.

Ancora foto, questa volta di un artista giapponese. Un cumulo di ghiaccio secco, 100kg mi pare, viene posizionato su una strada e fotografato ad intervalli di tempo. Ogni foto porta l'ora e il peso del ghiaccio. Credo che l'artista fosse affascinato dalla trasformazione della materia, ma io ho visto in questi scatti un tentativo di fotografare qualcosa di astratto come lo scorrere del tempo.

Infine, una montagna variopinta di abiti di ogni tipo, su cui i visitatori possono sedersi morbidamente per riposare un po' o leggere qualche volantino. Dietro, un piccolo teatro per incontri e dibattiti è ricavato in una struttura fatta di carta tranciata in finissime listarelle e legata in enormi balle. Ci si può passeggiare sopra grazie ad una passerella metallica che sovrasta tutto e offre anche una visione d'insieme della fiera e degli stand dalle pareti bianchissime. A concludere ci sono cumuli di lamiere di auto, anch'esse imballate in una struttura regolare e colorata, forse a fare da monito e ricordarci di quanti rifiuti produciamo.

Uscendo, la mia impressione è di aver visto in mostra idee, pensieri, critiche, ossessioni ognuna delle quali ha preso forme diverse. Insomma un pezzo della nostra pazzia.

domenica 12 settembre 2010

Undicisettembre

Ricorderò sempre cosa stavo facendo l'Undicisettembre:
penserò alle foto su internet
e tornerò nella sala d'attesa del dentista.
Ma non potrò ricordare cosa stavo facendo quando moriranno
le persone che non entreranno nella televisione
i bambini delle guerre che non saranno riprese dai cameramen
le donne lapidate che non avranno nome.
Non potrò ricordare cosa facevo
domani dopodomani sempre.

lunedì 30 agosto 2010

Sfida al marketing del supermercato

Devo condividere questo momento di auto compiacimento.

Oggi avevo già iniziato a preparare il soffritto in pentola quando mi sono accorta che nella dispensa mancava la salsa per fare il sugo. Sono quindi andata al supermercato vicino a casa con la mia borsetta di cotone e l'ho comprata.

Bene, direte voi, e qual è la notizia???

Ripercorro le fasi dell'acquisto e vi spiego. Entrata nel supermercato ho pensato "magari mentre sono qui prendo anche un po' di formaggio, o anche un pacco di pasta fresca, non si sa mai". E poi "non mi ricordo se tonno ce n'è ancora, e forse potrei prendere dei biscottini per il caffè". Sono stata tentata di comprare anche un pezzo di focaccia.
Ad un certo punto però una vocina dentro di me mi ha chiesto: "ma servono davvero in casa queste cose? Non hai fatto la spesa sabato?".

Bene, la notizia è che sono riuscita a resistere e sono uscita dal negozio con SOLO una bottiglia di salsa di pomodoro, infilata nella mia borsetta ecologica.

So che può sembrare infantile, ma mi sono sentita un po' orgogliosa. Mi ha dato molta soddisfazione essere uscita indenne dai colori allettanti dei prodotti e dalla scaltra disposizione della merce sugli scaffali, studiata dal marketing per solleticare il mio portafoglio.

Paola 1 - Marketing 0
Proverò a rifarlo, provateci anche voi!

mercoledì 30 giugno 2010

Giustizia: tanti pesi e tante misure?

Stamattina su un quotidiano a distribuzione gratuita ho letto due notizie che mi hanno dato da pensare.
La prima, mezza pagina, raccontava la storia di un uomo che è sotto processo da cinque anni per aver rubato il cappuccio della valvola di uno pneumatico del valore di pochi centesimi. L’ho ripescata su Internet e la potete leggere su "Sotto processo da cinque anni per un tappino da 10 centesimi" oppure su "L'incredibile caso del tappo della gomma". In poche parole, cinque anni fa un uomo alla guida di un’auto aziendale, per ripicca nei confronti di un altro automobilista con cui si era conteso un parcheggio, gli rubò un cappuccio dalla ruota. Una cittadina solerte avvisò il proprietario dell’auto e i carabinieri; sebbene il derubato non intendesse procedere, la burocrazia dovette farlo: si trovò così nei guai il proprietario dell'impresa, a cui era intestata l'auto. Un Pm chiese l'archiviazione ma il giudice considerò il fatto "furto aggravato" dando il via ad un procedimento lento oltre che ridicolo.

Stupita per la notizia, ho continuato a sfogliare le pagine e mi è caduto l'occhio su un piccolo trafiletto: "Primario condannato salvato da prescrizione", riportato qui. In sintesi, un medico di una clinica di Como, condannato a cinque anni in primo grado per la morte di sette pazienti, si è visto cancellare l'accusa di omicidio colposo plurimo grazie ai tempi di prescrizione. Se vi interessano maggiori dettagli li trovate su "Il caso Rumi torna in aula ma i reati sono prescritti".

Chiudo il giornale perplessa. Vorrei avere i poteri magici come capita in molte serie TV e volare invisibile a scambiare gli incartamenti: far andare in prescrizione il processo per il tappino e far proseguire quello del primario. Ma non siamo in un telefilm. Perché se esiste un pool di magistrati che può portare avanti un processo per un danno irrisorio non ce n’è uno che possa impedire la prescrizione di un processo per reati gravi? E’ vero che anche il furto è reato, è vero che il nostro ordinamento prevede il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, ma la storia del tappino sembra davvero una presa in giro oltre che uno spreco di soldi, quando le risorse potrebbero essere impiegate a giudicare crimini ben più importanti. Uno smacco, soprattutto pensando a chi chiede e aspetta da tempo "giustizia".

martedì 15 giugno 2010

Il diritto di avere dei diritti

Sarà la provenienza da una famiglia operaia, ma devo ammettere che le notizie relative al mondo del lavoro mi colpiscono sempre.
E’ di questi giorni il polverone sull’accordo di Pomigliano. Marchionne, ad Fiat, deve decidere se portare la produzione della Nuova Panda allo stabilimento di Pomigliano d’Arco (Napoli) oppure in Polonia. L’azienda per investire ha bisogno di garanzie e Marchionne chiede che ai lavoratori di trovare "il coraggio di operare un profondo cambiamento che superi gli schemi e i comportamenti del passato, incompatibili con le sfide future" cito da qui.



Cosa significa?
Viene predisposto un accordo, presentato ai sindacati e firmato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl ma non dalla Fiom (il sindacato della Cgil).
Molto hanno scritto i giornali e detto i telegiornali, ma l’accento cade soprattutto sulla limitazione del diritto allo sciopero. Essendo curiosa di natura ho letto qua e là cercando di saperne di più. Ho trovato su Intenet il testo del documento: oltre agli articoli di giornale (ad esempio Repubblica), sul sito rassegna.it si trovano i file in formato pdf con le firme dei rappresentanti, compresi gli allegati tecnici.
In molte parti l’interpretazione non è semplice, in particolare per chi non è addentro al mondo della fabbrica e delle leggi sul lavoro. Però ho provato a leggerlo e a raccogliere le mie osservazioni su alcuni punti in particolare.

Punto 1. Orario di lavoro
La produzione della futura Panda si realizzerà con l'utilizzo degli impianti di produzione per 24 ore giornaliere e per 6 giorni la settimana, comprensivi del sabato, con uno schema di turnazione articolato a 18 turni settimanali.

In cosa consistono i 18 turni?
Se conoscete qualcuno che lavora in fabbrica sapete già che il lavoro è articolato su tre turni: primo dalle 6 alle 14, secondo dalle 14 alle 22 e notte dalle 22 alle 6 del giorno successivo.
Bene, 18 turni significa che sono lavorativi 6 giorni alla settimana, compreso anche il sabato, che non sarà più considerato straordinario né quindi pagato con la maggiorazione.

Visto che l’orario è (ancora, almeno per ora) di 40 ore settimanali, come ci si regola per il riposo? Ci sono due diverse ipotesi al momento, ma a quanto ho capito, uno schema approssimativo potrebbe essere quello "a scorrimento". Una volta si sta a casa domenica e lunedì, poi domenica e martedì, domenica e mercoledì, domenica e giovedì, domenica e venerdì, ogni tanto finalmente capita domenica e sabato. Obietterete voi: le commesse nei supermercati e nei negozi lavorano sempre di sabato. Giusto. E poi un operaio soldi per farsi il weekend fuori con la famiglia non ne ha, allora tanto vale che lavori....

Prosegue il punto 1.
L'attività lavorativa degli addetti alla produzione e collegati (quadri, impiegati e operai), a regime ordinario e ferma la durata dell'orario individuale contrattuale, sarà articolata su tre turni giornalieri di 8 ore ciascuno a rotazione, secondo i seguenti orari:
•primo turno dalle ore 6.00 alle ore 14.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 13.30 alle ore 14.00;
•secondo turno dalle ore 14.00 alle ore 22.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 21.30 alle ore 22.00;
•terzo turno dalle ore 22.00 alle ore 6.00 del giorno successivo, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 5.30 alle ore 6.00.


Mi ha incuriosito lo slittamento della pausa pranzo, evidenziato solo da alcuni giornali.
Gli operai per mangiare hanno oggi mezz’ora retribuita, con orario che varia a seconda delle azienda ma indicativamente potrebbe essere 11.30-12 per il primo turno, 19.30-20 per il secondo.
Con l’accordo la pausa mensa viene spostata a fine turno. Cosa vuol dire?
Significa che il ristoro non avviene più dopo le classiche 6 ore di lavoro, bensì alla fine del turno. Chi fa il primo ed è entrato alle 6.00 potrà andare a mangiare dalle 13.30 alle 14.00; gli operai del secondo turno entrati alle 14 andranno dalle ore 21.30 alle ore 22.00.
Io pensavo ci fosse una legge che prevedesse una pausa per il pasto dopo 6 ore di lavoro ma evidentemente mi sbaglio. Penso ad un operaio che deve entrare alle 6 e farà colazione più o meno alle 5, dipende da quanto abita vicino alla fabbrica. Ora aspetterà fino alle 13.30 per pranzare.
Magari tanti lavoratori a questo punto diranno: "mi fermo mezz’ora e mangio poi a casa". L’azienda in un colpo solo ottiene straordinari e riduce il costo della mensa (con probabili effetti a catena sulle società cooperative che gestiscono il servizio...).

Punto 2. Lavoro straordinario
Per far fronte alle esigenze produttive di avviamenti, recuperi o punte di mercato, l’azienda potrà far ricorso a lavoro straordinario per 80 ore annue pro capite, senza preventivo accordo sindacale, da effettuare a turni interi. [...] Il lavoro straordinario, nell’ambito delle 200 ore annue pro capite, potrà essere effettuato per esigenze produttive, tenuto conto del sistema articolato di pause collettive nell’arco del turno, durante la mezzora di intervallo tra la fine dell’attività lavorativa di un turno e l’inizio dell’attività lavorativa del turno successivo.

A quanto ho letto, attualmente sono 40 le ore di straordinario che in fabbrica si chiama "comandato", cioè che l’azienda può richiedere in un anno alle squadre di lavoratori.
Con l’accordo si passerebbe a 120 ore annue, con l’obbligo di avviso di almeno quattro giorni di anticipo. Ma c’è di più: la pausa mensa può essere soppressa per effettuare lavoro straordinario: in questo caso il lavoratore viene avvisato 48 ore prima. "Ue’ Gennari’... dopodomani portati un panino che c’abbiamo bisogno che ti fermi!!!"

Punto 4. Bilanciamenti produttivi
La quantità di produzione prevista da effettuare per ogni turno, su ciascuna linea, e il corretto rapporto produzione/organico saranno assicurati mediante la gestione della mobilità interna da area ad area nella prima ora del turno in relazione agli eventuali operai mancanti o, nell'arco del turno, per fronteggiare le perdite derivanti da eventuali fermate tecniche e produttive.

In pratica un operaio arriva al mattino e può essere spostato dove serve, dove magari manca qualcuno: questo significa che l’azienda può modificare le mansioni del lavoratore a seconda delle esigenze della linea. I sindacati qui sono critici perchè se l’azienda affidasse ai lavoratori anche attività non equiparabili verrebbe meno il principio dell’equivalenza delle mansioni.

Punto 5. Organizzazione del lavoro
Per riportare il sistema produttivo dello stabilimento Giambattista Vico alle migliori condizioni degli standard internazionali di competitività, si opererà, da un lato, sulle tecnologie e sul prodotto e, dall'altro lato, sul miglioramento dei livelli di prestazione lavorativa con le modalità previste dal sistema WCM e dal sistema Ergo-UAS. Le soluzioni ergonomiche migliorative, derivanti dall'applicazione del sistema Ergo-UAS, permettono, sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo, nell'arco del turno di lavoro, che sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti ciascuna.

Troppe sigle... Dunque, WCM significa World Class Manufacting: si tratta di un sistema che prevede la riorganizzazione della fabbrica e degli spazi attorno agli operai in modo che il lavoratore trovi sul banco attorno a se tutto ciò di cui ha bisogno per produrre i suoi pezzi limitando gli sprechi di tempo per l’approvvigionamento o altre lavorazioni.
ErgoUas è invece una metodologia che viene applicata alle lavorazioni per calcolare i tempi di esecuzione (un'operazione più faticosa richiede un tempi di esecuzione più ampi) o di riposo (necessario se si è costretti ad effettuare movimenti che a lungo possono risultare dannosi per la salute come ad esempio piegare la schiena o sollevare pesi).
Se vi va di approfondire, date un’occhiata a questo articolo: "La fabbrica che non spreca un minuto. Così nasce l'operaio a ciclo continuo".

Bene, secondo l’accordo di Pomigliano l’introduzione di queste "soluzioni ergonomiche migliorative" giustifica la ridefinizione dei tempi e dei ritmi di lavoro. L’accordo prevede infatti che in linea le pause vengano ridotte a 30 minuti (divisi in tre pause da 10) invece degli attuali 40 minuti (due pause da 20). Ma tutti devono fare qualche sacrificio, no?

Punto 9. Cigs (ovvero Cassa integrazione Straordinaria)
Il radicale intervento di ristrutturazione dello stabilimento Giambattista Vico per predisporre gli impianti alla produzione della futura Panda presuppone il riconoscimento, per tutto il periodo del piano di ristrutturazione, della cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione per due anni dall’avvio degli investimenti, previo esperimento delle procedure di legge.
Per preparare gli impianti alla produzione della nuova Panda (ristrutturazione), viene riconosciuta la cig straordinaria, per appunto, per due anni dall'avvio degli investimenti.

Questo punto mi ha sconcertato. E’ vero, non so proprio nulla di economia aziendale, ma com’è che si chiede la cassa integrazione già prima di investire?
Interessante la frase "In considerazione degli articolati interventi impiantistici e formativi previsti nonché della necessità di mantenimento dei normali livelli di efficienza nelle attività previste, non potranno essere adottati meccanismi di rotazione tra i lavoratori, non sussistendone le condizioni".
Leggo: potrebbe capitare che la cassa integrazione non sia distribuita uniformemente tra i lavoratori ma che siano lasciate a casa persone considerate meno efficienti dando la possibilità di lavorare a coloro su cui l’azienda ha investito in formazione. La cassa integrazione sarà quindi senza la cosiddetta “rotazione” che permette a tutti di lavorare almeno un po’: i lavoratori non sono tutti uguali.

14. Clausola di responsabilità
Tutti i punti di questo documento costituiscono un insieme integrato, sicché tutte le sue clausole sono correlate e inscindibili tra loro, con la conseguenza che il mancato rispetto degli impegni eventualmente assunti dalle organizzazioni sindacali e/o dalla RSU ovvero comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate [...] libera l’azienda dagli obblighi derivanti dalla eventuale intesa nonché da quelli derivanti dal CCNL Metalmeccanici in materia di: contributi sindacali, permessi sindacali [...] ed esonera l’azienda dal riconoscimento e conseguente applicazione delle condizioni di miglior favore rispetto al CCNL Metalmeccanici contenute negli accordi aziendali in materia di: permessi sindacali aggiuntivi [...].

Questo è uno dei punti dolenti dell’accordo (non che gli altri siano allegri!)
E’ la Fiat che può decidere se una qualsiasi iniziativa, ad esempio uno sciopero o una protesta interna, sia in contrasto con uno dei punti dell’accordo. La violazione dell’accordo consentirebbe inolte all’azienda di agire nei confronti delle organizzazioni sindacali.
Prosegue poi il punto 14.
Inoltre comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti da esso all’Azienda, facendo venir meno l’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale e inficiando lo spirito che lo anima, producono per l’azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto.

Eccolo qui, ben mascherato dalle parole, il tentativo di indebolire il diritto allo sciopero. Comportamenti che contrastano l’interesse dell’azienda e che violano le direttive dell’accordo (ad esempio interrompere la produzione per aderire ad uno sciopero?) hanno "effetti liberatori" cioè liberano l’azienda dagli obblighi contrattuali. Non mi è chiaro qui se si intendano solo gli obblighi relativi alle tematiche sindacali oppure gli impegni previsti in generale dal contratto.

Le mie considerazioni.Ma può un’azienda proporre un accordo in deroga alle leggi vigenti, ai contratti di lavoro nazionali solo perchè manifesta l’intenzione di investire in un’area del paese?
Se come me vi siete chiesti: tutte queste modifiche faranno davvero bene all’azienda? Magari servono a breve termine, ma poi? Qualcun altro si è già posto la stessa domanda e l’articolo è qui "Mano libera in fabbrica".

Gli operai potranno ora esprimere con il voto al referendum. Ah certo, bella scelta. Mi viene in mente il modo di dire "O mangi la minestra o ti butti dalla finestra".
Mi domando: è giusto che per lavorare per si rinunci ai propri diritti?
Voi potrete obiettare che già lo fanno in tanti. Chi è costretto a firmare la lettera di dimissioni al momento dell’assunzione (ne avevo parlato qui), chi sopporta turni massacranti in un call center, i lavoratori interinali che sono costretti a dire sempre sì appesi ad un rinnovo del contratto, professionisti obbligati ad aprire la partita iva per poi lavorare come subordinati in piccole e anche grandi aziende.
Già sono tanti i lavoratori che non hanno diritto ai proprio diritti.
Ma questa volta si tratta di abbassare la testa in modo istituzionalizzato e magari farlo diventare un modello di esempio per i contratti di lavoro italiani.
Ed è questa la cosa che brucia di più.

martedì 18 maggio 2010

Cerimonia annullata

Torino. In segno di lutto per la morte dei soldati italiani in Afghanistan è stato annullato il brindisi di chiusura del Salone del Libro (notizia sul sito de La Stampa). Mi chiedo quante cerimonie siano da annullare ogni giorno per muratori, agricoltori, operai, carpentieri, autotrasportatori...

Cito da dal post "La Spoon River degli operai" di E.F.Torsello.
Se volete rendervi conto della strage quotidiana e silenziosa che quasi ogni giorno si consuma in Italia, visitate il blog http://mortisullavoro.wordpress.com. Attenzione però, potrebbe sbattervi in faccia una realtà che televisioni e quotidiani non vi raccontano quasi mai. E’ una sorta di Spoon River degli operai, solo che ogni epitaffio racconta gli ultimi istanti di ogni manovale.

Cerimonie annullate. Vite cancellate.

giovedì 13 maggio 2010

Auguri!


Un altro anno insieme: piccoli traguardi, mille progetti, corse trafelate, arrivi giusti in tempo... Che vita eh?
Buon compleanno!

giovedì 15 aprile 2010

Io sto con Emergency





Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

Sito: www.emergency.it

IO STO CON EMERGENCY

martedì 6 aprile 2010

6 aprile 2009

Non potrei più pensare di partire per un viaggio senza la valigia con le rotelle. Mi sorprende a volte pensare che alcune idee, sgorgate da un cervello in fondo simile al nostro, possano essere così innovative da entrare prepotentemente nella vita quotidiana, tanto da non poterne più fare a meno. Altre idee sono meno geniali ma comunque decisamente comode. Tra queste ci metto, senza ombra di dubbio, il contenitore del Cartesio sotto le buche delle lettere. Finalmente posso scremare la pubblicità dalla posta prima di entrare in casa, senza portarmi dentro mazzi di manifesti patinati che rimarranno sul tavolo fino al prossimo giro di pulizie.

Un esame gratuito dell’udito? Per fortuna, no grazie. Un volantino intero sulle uova di cioccolata. Mi chiedo: ma non è un po’ esagerato? Salvo la busta della bolletta del gas e mentre infilo le chiavi nella toppa mi tornano in mente le uova: tra poco è Pasqua e questo significa che la mia scadenza si avvicina!
Stimo il professor Trono da quando ho iniziato a seguire il suo corso. Ha la dote di saper rendere avvincente qualsiasi lezione e soprattutto mi lascia ogni volta uno strascico di stimoli nuovi da restare senza fiato. Spesso mi pare di non riuscire a fermare tutti i pensieri; prima di perderli devo rovesciarli a valanga sul registratore mp3, poi posso riprendere fiato tranquilla. Ma il tema dell’esercizio di questo mese proprio non mi andava giù. Non so, o era a corto di idee, o voleva proprio metterci in difficoltà. Ma dico, che argomento è “casa”? Cosa scrivere su un tema così vasto da poter contenere tutto? Come circoscriverlo? Certo, il compito lo avrei fatto, comunque già da tempo meditavo di scrivergli una mail per manifestare il mio dissenso. L’avevo abbozzata e salvata, ma alla fine non l’ho mai spedita…

Perché è da due giorni che non penso a nient’altro che a casa. Da quando lo scorso 6 aprile la natura ha deciso di rivendicare rabbiosamente il suo potere, e lo ha fatto in maniera drammaticamente spettacolare interrompendo il sonno degli abruzzesi, spezzando in pochi secondi sogni, vite, progetti, amori. Da quando in tutte le notizie su Internet, in tutti i servizi in TV e nei giornali radio, è incredibile, una parola su dieci è proprio casa! Cambiano solo gli aggettivi che la accompagnano.

Case divelte.
Case rase al suolo.
Case inagibili.


Ci si accorge di quanto possa contenere una casa e quanto si possa accumulare in una vita solo quando si deve traslocare e gli scatoloni sembrano vagoni di un treno infinito. Oppure quando un terremoto nel disordine della violenza tira fuori tutto, ricoprendo di polvere pezzi di proprietà mischiate. Una casa, una, due, tre o più vite: abitazioni e persone stanno in una relazione che matematicamente definiremmo da uno a molti.
Accendo la TV. Fotogrammi surreali raccontano vite interrotte. Un orsacchiotto impolverato su un cuscino rosso, a forma di cuore. La cassa acustica di una chitarra senza più corde per suonare. Un calcetto, immagino un dono di Natale e mi chiedo se fosse inatteso o richiesto in una letterina. Poi una scenografia teatrale che pare di cartapesta. Un letto matrimoniale perfettamente in ordine, accanto la cassettiera. Un lampadario scelto con cura che si abbina con le tonalità del copriletto. E’ solo una camera, il resto della casa è sventrato.

Case crollate.
Case pericolanti.
Case spezzate.


Mi colpisce l’intervista alla signora Rosanna, ottantuno anni, distesa su un lettino nell’ospedale da campo. Racconta con occhi vispi, nonostante l’emozione sceglie parole forbite e proprio non ci sta a fare la parte della persona disperata. Il suo pare quasi uno scarno inventario: “… il mio pianoforte senza più le gambe. I libri che cadevano uno ad uno dagli scaffali… La mia bella biancheria con pizzi e merletti. I ricordi di una vita”. Poi l’orgoglio lascia il posto ad una delicata commozione: “cinque ore sotto le macerie della mia casa, finché degli angeli mi hanno tirata fuori. Io… io sono viva.”

Case distrutte.
Case squarciate.
Case instabili.


La tua casa è stata sostituita da una tenda, il tuo letto da una branda. Il libro che hai iniziato una settimana fa è rimasto sul comodino, chissà quanto tempo passerà prima che tu scopra come è andata a finire. All’improvviso ti sembra di impazzire perché vorresti lavarti i denti e toglierti di dosso quella maglietta appiccicaticcia. Accanto a te, una mamma non mangia da due giorni e ormai non ha più lacrime. Andrea avrebbe compiuto tre anni proprio il giorno di Pasqua; per l’occasione il suo regalo di compleanno era già stato portato dal pasticciere perché lo confezionasse in un bell’uovo di cioccolata. E allora le tre ore di coda per un pasto caldo ti sembrano un sollievo mentre guardi tuo figlio che gioca con i volontari vestiti da clown. Si volta, ti cerca con lo sguardo, ti sorride fugacemente perché il prossimo palloncino è il suo. Vorresti incrociare lo sguardo vuoto della mamma di Andrea ma un groppo in gola ti impedisce di alzare gli occhi. Vorresti abbracciarla e piangere con lei, ma ti senti quasi in colpa. Poi tuo marito ti raggiunge, ti porge un pacchetto di salviette, fiero come fosse un anello di diamanti. Ti prende per mano e vi avviate verso la coda. Tutto il resto svanisce in un’inquadratura sfocata. Siete vivi.

Case dilaniate.
Case piegate.
Case straziate.


Stringe un pezzo di coperta, Marta, tirata fuori dalle macerie della Casa dello Studente dopo ventitré ore. Le immagini mostrano una sorta di mummia di alluminio sulla barella ed un sorriso imbarazzato, quasi a dire “scusate il fastidio”. Ha ventiquattro anni e quella casa è, era, la sua dimora temporanea, dove la immagino a condividere magari una stanza o forse un mini appartamento. Chissà se anche alla Casa dello Studente a L’Aquila si litigava per la pulizia della cucina comune o se l’ADSL via wireless non raggiungeva proprio tutte le camere, come invece decantano sempre le descrizioni sui siti. Avrà trovato un annuncio in bacheca all’università? Avrà voluto subito personalizzare la stanza un po’ anonima con le foto degli amici e la locandina dell’ultimo concerto? Mi pare quasi di vedere vicino al letto il trolley (sì, proprio la valigia con le rotelle!) pronto per ritornare a casa per le vacanze pasquali. Poi l’inquadratura si sposta verso gli altri genitori che non hanno avuto la stessa fortuna dei genitori di Marta. Un dolore composto il loro: con i capelli grigi di polvere, sono ancora lì, davanti ai cumuli di macerie e ormai senza speranza attendono che i soccorritori possano restituire almeno i corpi dei loro figli.
Ancora una volta lo strazio lascia il posto alla fiducia in un’altalena di notizie mozzafiato. Nel frattempo Eleonora ha strappato a Marta l’amaro record di permanenza, viva, sotto le macerie. Dopo quarantadue ore dal terremoto è salva. Pesanti tubazioni che ti sfiorano, travi di cemento che ti cadono accanto ed invece di squarciarti ti costruiscono con precisione millimetrica un nido di macerie, ed infine ti proteggono finché cani addestrati non fiutano il tuo respiro.

Case da ricostruire.
Case da ricomporre.
Case da ripopolare.


Rifletto su come il terremoto abbia colpito di notte, proprio nel momento della giornata in cui il non essere vigili ci rende così indifesi ed intimamente vulnerabili. Quasi tutti erano a casa. La notte ha permesso a molte famiglie di essere compatte nella disgrazia, unite e fisicamente vicine a coloro accanto ai quali ognuno desiderava addormentarsi. A molti ha anche consentito di morire insieme. La casa custodisce le nostre vite, ne accumula i ricordi, talvolta stipati in armadi polverosi talvolta su mensole perfettamente ordinate. La casa con le sue usure scandisce il trascorrere del nostro tempo. La casa può diventare a volte anche il nostro dolce sepolcro.
Ma c’è una consapevolezza dura e contemporaneamente affascinante che mi solletica: in fondo ad ogni dolore, seppur così straziante ed immenso, emerge prorompente la maestosità della vita. E vedo il visino rugoso ed ancora tutto rosso di Giorgia, che doveva nascere con un parto cesareo proprio lunedì 6 aprile 2009 all’ospedale dell’Aquila. Un elicottero ha trasportato mamma e papà a Pescara e lei è nata lì, con un po’ di ore di ritardo, quasi a ricordarci che non può esistere vita senza che ci sia anche la morte.

Spengo la TV ed esco.
Ancora pubblicità da dare in pasto al contenitore Cartesio. Oltre alle offerte variopinte del supermercato, ironia della sorte!, il volantino arancione dell’agenzia Tecnorete.

sabato 20 marzo 2010

E poi la sete


È severamente vietato:
1. immergersi in acqua;
2. riempire d'acqua orci, secchi, bottiglie e qualsiasi tipo di recipiente;
3. immagazzinare acqua, in qualsiasi modo;
4. bere;
5. vivere, aveva inciso qualcuno in fondo alla lastra d'acciaio.

E' il cartello che compare nelle prime pagine del libro e che rende bene l'atmosfera irreale in cui si viene sin da subito catapultati.

Dopo una catastrofe climatica avvenuta nel 2088, siamo in un paese europeo in cui le risorse idriche sono state privatizzate e l'acqua è diventata un bene di lusso. A miseria, disperazione, malattie si aggiunge uno scandalo politico che scatena nel paese una sorta di guerra civile che non risparmia alcun tipo di violenza. Si trovano a resistere insieme due persone che dovrebbero essere nemiche: Sarah, medico e figlia del presidente dello Stato, e Gaël, tossicodipendente quindicenne, figlio del giornalista venuto in possesso di un dossier sui complotti del regime. Scatta una vera e propria lotta per la sopravvivenza, una lotta cruda, spietata quanto dolorosa, che ha il suo obiettivo nella corsa contro il tempo per arrivare, vivi, ad una fonte d'acqua.

Una brillante Alessandra Montrucchio ha presentato ieri questo suo ultimo libro "E poi la sete", in una serata informale e gustosa. Ha ospitato l'evento una libreria del centro di Torino che ha fatto della commistione tra il ferro indutriale e le pagine di cultura un suo stile originale.
Come racconta la stessa Alessandra, il tutto è nato da una frase durante una discussione in cena tra amiche: "E dire che nel prossimo futuro l'oggetto del contendere non sarà più il petrolio, ma l'acqua."
Da questa osservazione è partita l'idea, sono iniziati gli studi e gli approfondimenti su temi quanto mai attuali, che dopo quasi quattro anni si sono concretizzati in queste 270 pagine.

In Italia è stato approvato lo scorso novembre 2009 il contestato decreto Ronchi; ora alle prese con la campagna elettorale per le elezioni regionali il tema dell'acqua viene ogni tanto sollevato. Tra l'altro, proprio oggi c'è a Roma la manifestazione contro la privatizzazione, con lo slogan "L'acqua è di tutti e deve essere pubblica." Ma la gestione delle risorse idriche può diventare un business vero e proprio come descrive in dettaglio questo servizio dell'Espresso.

Certo "E poi la sete" è un romanzo, è una storia inventata, avvincente quanto drammatica. Ma possiamo mettere la mano sul fuoco che lo scenario terrificante che fa da sfondo alle vicende sia completamente estraneo al nostro futuro?

mercoledì 24 febbraio 2010

Assistenza sanitaria in Europa? Sì ma non gratis!

Ho sempre creduto che all'interno della comunità europea i cittadini avessero diritto all'assistenza sanitaria gratuita. Ebbene, mi sbagliavo e ahimè l'ho scoperto per esperienza personale quest'estate.
Ho pensato di riassumere brevemente quanto mi è accaduto, potrebbe essere di aiuto ad altri viaggiatori.

Si parte dall'Austria, la ripresa stringe sulle montagne tirolesi fino a zoomare sulla piccola amena località lacustre di Pertisau am Achensee. Durante brevi escursioni e passeggiate tra boschi e rifugi, ho subito diverse punture di insetto. Una di queste, sul dito anulare sinistro, ha provocato un anomalo gonfiore e dopo un paio di giorni ha iniziato a diventare particolarmente dolorosa.
Il dito era gonfio proprio sotto l'unghia, la bombatura rossa e lucida con una punta biancastra mi hanno fatto pensare ad un'infezione.

Il 17 agosto 2009 mi sono recata all'unico presidio sanitario della località. Si trattava di uno studio medico ben attrezzato che svolgeva anche funzioni di farmacia. Dopo aver spiegato la situazione (per fortuna parlo un po' di tedesco) e presentato la mitica tessera sanitaria, la segretaria ci ha subito informato che in ogni caso avremmo dovuto pagare e poi farci rimborsare in Italia. Il costo della visita era di 70 euro, il resto poi dipendeva da cosa avrebbe fatto il medico.

Che fare? Sinceramente la cifra era salata, ma non ci pareva oltremodo opportuno rimanere con una evidente infezione al dito, soprattutto con il rischio che peggiorasse.
Per farla breve: sono stata visitata da un medico, peraltro molto cortese, che mi ha effettivamente diagnosticato un'infezione al dito (probabilemte dovuta al morso di un ragno). Si è resa necessaria una piccola incisione per rimuovere la parte infetta; dopo la medicazione e la fasciatura mi è stata inoltre prescritta una cura di antibiotico da prendere per una settimana.

Veniamo al conto: totale 325,15 euro!
Inutile dire che ci è preso un colpo! E la segretaria, sempre molto affabile: "potete pagare anche con carta di credito..." La fattura è visibile cliccando qui, ma ne riporto il dettaglio.
- Prescrizione e visita: 70 euro
- Incisione ferita fino a 5cm: 200 euro
- Supplemento statale: 40 euro
- Farmaco antibiotico Clindamycin: 15,15 euro

Bello scherzetto per una puntura di ragno eh?

Tornati in Italia mi sono informata presso l'ASL di zona ed ho scoperto che esiste in effetti una procedura di rimborso per le spese sanitarie all'estero. Si compila un modulo (la copia è qui) e poi si attende pazientemente. Io l'ho fatto il 16 settembre 2009, cliccando qui potete consultarne una copia.

Lo scorso 10 febbraio 2010 ho ricevuto l'assegno di rimborso. Direte voi, tutto è bene quel che finisce bene! Non proprio... L'importo dell'assegno era di soli 149,13 euro (immagine qui).
Purtroppo su Internet non ci sono informazioni precise sull'assistenza sanitaria all'estero e su come viene definito il rimborso.
Sapevo già che la nuova tessera sanitaria magnetica si chiama TEAM, cioè Tessera Europea di Assicurazione Malattia, e che ha sostituito il vecchio modulo E111, che si richiedeva all'ASL prima di partire per le vacanze.
Ho scoperto però che la tessera non dà diritto alle cure gratuite ma permette di essere equiparati al cittadino dello stato in cui ci si trova, ricevendo lo stesso trattamento sanitario che questi riceverebbe normalmente. Viene cioè applicato il principio di "parità di trattamento" rispetto ai cittadini del paese ospitante.

Ricevuto l'assegno, sono tornata all'ASL per chiedere maggiori dettagli. L'impiegata mi ha mostrato la mia pratica, in cui spiccava una lettera proveniente dall'Austria con la copia della tormentata fattura ed in rosso la cifra rimborsata all'Italia. Tutto qui. L'addetta mi ha spiegato che loro non conoscono quali sono le regole per il calcolo delle somme da restituire, semplicemente prendono la cifra indicata dal loro corrispondente europeo e la inviano alla ragioneria per il pagamento. Le modalità di rimborso variano paese per paese ed ogni nazione ha le sue regole (purtroppo non note).

Allora ho chiesto alcuni suggerimenti per il futuro, sperando di non doverne fare uso... In casi simili quindi che fare? Ecco la risposta: meglio recarsi ad una "cassa mutua" locale (corrispondente alla nostra ASL) e denunciare subito l'accaduto, compilando un modulo apposito. Questa procedura evita di dover chiedere il rimborso una volta tornati nel proprio paese. Infatti ci si può impuntare e richiedere che venga fatto pagare solamente il "giusto", addebitando direttamente al proprio paese le spese sanitarie previste. L'alternativa, spiace proprio dirlo, è un'assicurazione privata.

Trovate info scarne e sintetiche qui:
- la tessera europea di assicurazione malattia sul sito della Commissione europea "Occupazione, affari sociali e pari opportunità"
- assistenza sanitaria per soggiorni temporanei all'estero sul sito dell'ASL5 Piemonte

Un'ottima guida da leggere prima di partire è invece messa a disposizione dal Servizio Sanitario Britannico, il National Health Service o più brevemente NHS. Le info sono molto dettagliate, ma naturalmente in inglese. In questa pagina trovate, paese per paese, tutte le informazioni su come ottenere assistenza sanitaria, quali sono le procedure ed anche a cosa prestare particolare attenzione. Peccato averlo scoperto solo ora...

mercoledì 27 gennaio 2010

Nel giorno della memoria

Un post fatto di parole intense e laceranti.
Parole non mie, ma scritte anche per me.
Per tutti.

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo.
Come una rana d'inverno
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole:
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

(Primo Levi, Se questo è un uomo)

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.
(Elie Wiesel, La notte)