martedì 6 aprile 2010

6 aprile 2009

Non potrei più pensare di partire per un viaggio senza la valigia con le rotelle. Mi sorprende a volte pensare che alcune idee, sgorgate da un cervello in fondo simile al nostro, possano essere così innovative da entrare prepotentemente nella vita quotidiana, tanto da non poterne più fare a meno. Altre idee sono meno geniali ma comunque decisamente comode. Tra queste ci metto, senza ombra di dubbio, il contenitore del Cartesio sotto le buche delle lettere. Finalmente posso scremare la pubblicità dalla posta prima di entrare in casa, senza portarmi dentro mazzi di manifesti patinati che rimarranno sul tavolo fino al prossimo giro di pulizie.

Un esame gratuito dell’udito? Per fortuna, no grazie. Un volantino intero sulle uova di cioccolata. Mi chiedo: ma non è un po’ esagerato? Salvo la busta della bolletta del gas e mentre infilo le chiavi nella toppa mi tornano in mente le uova: tra poco è Pasqua e questo significa che la mia scadenza si avvicina!
Stimo il professor Trono da quando ho iniziato a seguire il suo corso. Ha la dote di saper rendere avvincente qualsiasi lezione e soprattutto mi lascia ogni volta uno strascico di stimoli nuovi da restare senza fiato. Spesso mi pare di non riuscire a fermare tutti i pensieri; prima di perderli devo rovesciarli a valanga sul registratore mp3, poi posso riprendere fiato tranquilla. Ma il tema dell’esercizio di questo mese proprio non mi andava giù. Non so, o era a corto di idee, o voleva proprio metterci in difficoltà. Ma dico, che argomento è “casa”? Cosa scrivere su un tema così vasto da poter contenere tutto? Come circoscriverlo? Certo, il compito lo avrei fatto, comunque già da tempo meditavo di scrivergli una mail per manifestare il mio dissenso. L’avevo abbozzata e salvata, ma alla fine non l’ho mai spedita…

Perché è da due giorni che non penso a nient’altro che a casa. Da quando lo scorso 6 aprile la natura ha deciso di rivendicare rabbiosamente il suo potere, e lo ha fatto in maniera drammaticamente spettacolare interrompendo il sonno degli abruzzesi, spezzando in pochi secondi sogni, vite, progetti, amori. Da quando in tutte le notizie su Internet, in tutti i servizi in TV e nei giornali radio, è incredibile, una parola su dieci è proprio casa! Cambiano solo gli aggettivi che la accompagnano.

Case divelte.
Case rase al suolo.
Case inagibili.


Ci si accorge di quanto possa contenere una casa e quanto si possa accumulare in una vita solo quando si deve traslocare e gli scatoloni sembrano vagoni di un treno infinito. Oppure quando un terremoto nel disordine della violenza tira fuori tutto, ricoprendo di polvere pezzi di proprietà mischiate. Una casa, una, due, tre o più vite: abitazioni e persone stanno in una relazione che matematicamente definiremmo da uno a molti.
Accendo la TV. Fotogrammi surreali raccontano vite interrotte. Un orsacchiotto impolverato su un cuscino rosso, a forma di cuore. La cassa acustica di una chitarra senza più corde per suonare. Un calcetto, immagino un dono di Natale e mi chiedo se fosse inatteso o richiesto in una letterina. Poi una scenografia teatrale che pare di cartapesta. Un letto matrimoniale perfettamente in ordine, accanto la cassettiera. Un lampadario scelto con cura che si abbina con le tonalità del copriletto. E’ solo una camera, il resto della casa è sventrato.

Case crollate.
Case pericolanti.
Case spezzate.


Mi colpisce l’intervista alla signora Rosanna, ottantuno anni, distesa su un lettino nell’ospedale da campo. Racconta con occhi vispi, nonostante l’emozione sceglie parole forbite e proprio non ci sta a fare la parte della persona disperata. Il suo pare quasi uno scarno inventario: “… il mio pianoforte senza più le gambe. I libri che cadevano uno ad uno dagli scaffali… La mia bella biancheria con pizzi e merletti. I ricordi di una vita”. Poi l’orgoglio lascia il posto ad una delicata commozione: “cinque ore sotto le macerie della mia casa, finché degli angeli mi hanno tirata fuori. Io… io sono viva.”

Case distrutte.
Case squarciate.
Case instabili.


La tua casa è stata sostituita da una tenda, il tuo letto da una branda. Il libro che hai iniziato una settimana fa è rimasto sul comodino, chissà quanto tempo passerà prima che tu scopra come è andata a finire. All’improvviso ti sembra di impazzire perché vorresti lavarti i denti e toglierti di dosso quella maglietta appiccicaticcia. Accanto a te, una mamma non mangia da due giorni e ormai non ha più lacrime. Andrea avrebbe compiuto tre anni proprio il giorno di Pasqua; per l’occasione il suo regalo di compleanno era già stato portato dal pasticciere perché lo confezionasse in un bell’uovo di cioccolata. E allora le tre ore di coda per un pasto caldo ti sembrano un sollievo mentre guardi tuo figlio che gioca con i volontari vestiti da clown. Si volta, ti cerca con lo sguardo, ti sorride fugacemente perché il prossimo palloncino è il suo. Vorresti incrociare lo sguardo vuoto della mamma di Andrea ma un groppo in gola ti impedisce di alzare gli occhi. Vorresti abbracciarla e piangere con lei, ma ti senti quasi in colpa. Poi tuo marito ti raggiunge, ti porge un pacchetto di salviette, fiero come fosse un anello di diamanti. Ti prende per mano e vi avviate verso la coda. Tutto il resto svanisce in un’inquadratura sfocata. Siete vivi.

Case dilaniate.
Case piegate.
Case straziate.


Stringe un pezzo di coperta, Marta, tirata fuori dalle macerie della Casa dello Studente dopo ventitré ore. Le immagini mostrano una sorta di mummia di alluminio sulla barella ed un sorriso imbarazzato, quasi a dire “scusate il fastidio”. Ha ventiquattro anni e quella casa è, era, la sua dimora temporanea, dove la immagino a condividere magari una stanza o forse un mini appartamento. Chissà se anche alla Casa dello Studente a L’Aquila si litigava per la pulizia della cucina comune o se l’ADSL via wireless non raggiungeva proprio tutte le camere, come invece decantano sempre le descrizioni sui siti. Avrà trovato un annuncio in bacheca all’università? Avrà voluto subito personalizzare la stanza un po’ anonima con le foto degli amici e la locandina dell’ultimo concerto? Mi pare quasi di vedere vicino al letto il trolley (sì, proprio la valigia con le rotelle!) pronto per ritornare a casa per le vacanze pasquali. Poi l’inquadratura si sposta verso gli altri genitori che non hanno avuto la stessa fortuna dei genitori di Marta. Un dolore composto il loro: con i capelli grigi di polvere, sono ancora lì, davanti ai cumuli di macerie e ormai senza speranza attendono che i soccorritori possano restituire almeno i corpi dei loro figli.
Ancora una volta lo strazio lascia il posto alla fiducia in un’altalena di notizie mozzafiato. Nel frattempo Eleonora ha strappato a Marta l’amaro record di permanenza, viva, sotto le macerie. Dopo quarantadue ore dal terremoto è salva. Pesanti tubazioni che ti sfiorano, travi di cemento che ti cadono accanto ed invece di squarciarti ti costruiscono con precisione millimetrica un nido di macerie, ed infine ti proteggono finché cani addestrati non fiutano il tuo respiro.

Case da ricostruire.
Case da ricomporre.
Case da ripopolare.


Rifletto su come il terremoto abbia colpito di notte, proprio nel momento della giornata in cui il non essere vigili ci rende così indifesi ed intimamente vulnerabili. Quasi tutti erano a casa. La notte ha permesso a molte famiglie di essere compatte nella disgrazia, unite e fisicamente vicine a coloro accanto ai quali ognuno desiderava addormentarsi. A molti ha anche consentito di morire insieme. La casa custodisce le nostre vite, ne accumula i ricordi, talvolta stipati in armadi polverosi talvolta su mensole perfettamente ordinate. La casa con le sue usure scandisce il trascorrere del nostro tempo. La casa può diventare a volte anche il nostro dolce sepolcro.
Ma c’è una consapevolezza dura e contemporaneamente affascinante che mi solletica: in fondo ad ogni dolore, seppur così straziante ed immenso, emerge prorompente la maestosità della vita. E vedo il visino rugoso ed ancora tutto rosso di Giorgia, che doveva nascere con un parto cesareo proprio lunedì 6 aprile 2009 all’ospedale dell’Aquila. Un elicottero ha trasportato mamma e papà a Pescara e lei è nata lì, con un po’ di ore di ritardo, quasi a ricordarci che non può esistere vita senza che ci sia anche la morte.

Spengo la TV ed esco.
Ancora pubblicità da dare in pasto al contenitore Cartesio. Oltre alle offerte variopinte del supermercato, ironia della sorte!, il volantino arancione dell’agenzia Tecnorete.

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